giovedì, 25 Aprile, 2024
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Salto nel futuro, verso un meleto completamente automatizzato

Sui terreni dell’Azienda agricola dell’Università di Bologna, a Cadriano, il meleto impiantato grazie al progetto S3O ha dimostrato che si può produrre in maniera sostenibile senza rinunciare alla quantità e migliorando la qualità.

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Camminando fra i filari del meleto sperimentale impiantato all’Azienda agricola dell’Università di Bologna, a Cadriano, ci si accorge subito che l’architettura è tutta particolare, i filari sono strettissimi e l’allevamento è in cordoni verticali. Le piante di melo sono piatte, una versione quasi 2D di un frutteto. 

“Si chiama – ha raccontato il professor Luca Corelli Grappadelli, ecofisiologo dell’Università di Bologna – cordone planare, dall’inglese ‘planar cordon’, un design nato in Nuova Zelanda”.

Se con il progetto S3O, chiusosi a inizio 2022, il Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale Agroalimentare (Ciri Agro) dell’Università di Bologna ha dimostrato che è possibile coltivare un meleto di pianura in maniera sostenibile, senza rinunciare a un chilogrammo di mele in resa e migliorando anche, in diversi casi, la qualità del prodotto, Luca Corelli Grappadelli, che del progetto S3O è il coordinatore, guarda ora agli sviluppi: rendere il meleto completamente automatizzato con l’utilizzo di un rover elettrico piattaforma.

In tempi di carenza di manodopera avere un robot in grado di operare in autonomia fra i filari, in un meleto sostenibile, farebbe la differenza.

Abbiamo visitato il nuovo meleto lo scorso luglio e ci siamo fatti anticipare dal professore Grappadelli come sarà il meleto del futuro dove, un rover, quello già progettato dall’Università di Bologna lavorando a S3O, sarà in grado di compiere moltissime diverse operazioni di campo, in totale autonomia.

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Prima però un passo indietro, quali sono i risultati del progetto S3O? Il progetto è stato finanziato attraverso il programma Por Fesr della Regione Emilia Romagna (2014-2020) e ha visto il coinvolgimento di diverse Organizzazioni di Produttori (Op). Le varietà coinvolte sono state Gala* e Rosy Glow* (Pink Lady®).

Nel frutteto sono state utilizzate tecnologie già in commercio, combinate fra loro in maniera sinergica hanno dato un risultato straordinario. 

“Abbiamo preso soluzioni tecniche commerciali – ha spiegato il professore Corelli Grappadelli – reti antigrandine, reti antinsetto, teli antipioggia e li abbiamo combinati in un unico frutteto, unendoli abbiamo vantaggi che singolarmente non avremmo avuto. Con i teli antipioggia abbiamo ridotto del 50% la quantità di luce sulle foglie, serve così meno acqua per il raffreddamento. Le chiome poi si bagnano di meno e ciò diminuisce il rischio di infezione da ticchiolatura, abbassiamo quindi la quantità di interventi. In più, visto che abbiamo la rete antinsetto riusciamo a creare un microclima meno duro, meno difficile. Nel meleto S3O abbiamo sempre qualche grado in meno di temperatura e qualche punto di umidità in più. Togliere tanta luce nel meleto di pianura non deprime la fotosintesi. Nei due anni di prove, 2020 e 2021, abbiamo usato l’acqua che avremmo dovuto usare in un anno (riduzione del 50% dell’uso dell’acqua), non abbiamo perso un chilogrammo di prodotto e abbiamo anzi aumentato la qualità del prodotto in più di un raccolto”.

Nel meleto sperimentale sono stati quindi utilizzati reti antigrandine e antipioggia assieme a reti monoblocco antinsetto, diversi tipi di sensori utili al Dss Irriframe, un sistema statico di distribuzione dei prodotti fitosanitari. 

“Con un sistema a punto fisso non c’è più bisogno di attendere che il terreno abbia la portanza perché possa entrare il trattore con l’atomizzatore, dopo una pioggia infestante. Possiamo fare un trattamento immediato. Per quanto riguarda la ticchiolatura, possiamo così usare sostanze che colpiscono le spore proprio mentre stanno germinando. Se attendi di poter trattare con l’atomizzatore arrivi troppo tardi”.

Grande risparmio di risorsa irrigua (50%), abbattimento dell’uso di fitofarmaci ed eliminazione dell’uso di combustibili fossili

“Se avessimo pannelli fotovoltaici sopra il frutteto, come in un’installazione di agrivoltaico, avremmo generato tanta elettricità da far muovere il nostro rover elettrico, che eliminerebbe quindi completamente il trattore”.

Il rover elettrico è stato progettato dal team del professor Lorenzo Marconi del Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione dell’Università di Bologna. 

“Oggi il rover – ha continuato Luca Corelli Grappadelli – esce dal capannone, si infila in un filare del frutteto, può lavorare con l’atomizzatore quindi fare da solo il trattamento o con un trincia erba. Le potenzialità però sono estremamente più ampie, tanto che lo chiamiamo rover piattaforma. Nel nuovo frutteto (quello che di fatto è la versione successiva dell’S3O e che è disegnato appositamente per essere automatizzato, Ndr) farà tre tipi di attività: scouting, quindi raccolta dati e monitoraggio lanciando allarmi e segnalazioni quando trova parametri difformi; farà le veci di un trattore e sarà equipaggiato con attuatori smart, quindi arriverà ad eseguire operazioni complesse come potare, diradare, raccogliere”.

Ad oggi il meleto è sostenibile, in un futuro non troppo lontano sarà anche automatizzato, dando risposta a un’emergenza sentita anche nel 2022, quella della mancanza di manodopera.

Per poter operare nel meleto però è necessario che ci sia un sistema a cordone planare: un frutteto con chiome strettissime e bidimensionali in modo che il robot possa vedere le piante nella loro interezza e possa raggiungere facilmente i punti dove deve operare. Ed è il meleto che è stato impiantato nell’Azienda agraria dell’Università di Bologna.

Con il meleto S3O è stato dimostrato che, applicando tutte le tecnologie già disponibili, si può essere sostenibili, rispondere quindi alle richieste che arrivano da Bruxelles con la Strategia Farm to Fork e allo stesso tempo non rinunciare alla produttività. Senza produttività infatti non c’è sostenibilità economica per l’azienda agricola. Il progetto S3O non ha tralasciato neanche questa parte.

I calcoli sono stati fatti da un team di economisti dell’Università di Bologna che, partendo dai dati di aziende agricole reali, con la cooperazione delle quattro Op coinvolte nel progetto, è riuscito a stabilire il costo di impiantare un meleto come S3O.

C’è ovviamente un aggravio dei costi fissi ma, considerando la diminuzione dei costi variabili e l’aumento di qualità dei frutti, si arriva a una differenza a chilogrammo di prodotto (varietà Gala* e varietà Rosy Glow*) decisamente ininfluente.

Va poi anche considerata, in termini di marketing, la potenzialità di potersi giocare la parola „sostenibilità ambientale”, con dati alla mano. L’aggravio di costi, secondo i calcoli, tocca al massimo i 0,056 euro a chilogrammo di prodotto.

Per quanto riguarda il rover elettrico invece, essendo ancora non completamente sviluppato, sono stati fatti i primi calcoli arrivando a determinare che, nel caso di una trattrice di media potenza da frutteto che superi le 250 ore di lavoro a ettaro, il veicolo elettrico a guida autonoma è già più conveniente.

La progettazione del meleto del futuro è già cosa fatta, ma per altre coltivazioni, pesche, susine, albicocche, il discorso cambia. Il professore Luca Corelli Grappadelli ci tiene ad essere chiaro perché non nascano sperimentazioni aziendali su altre specie. Significherebbe la rovina dell’azienda agricola che si avventurasse in terreni sconosciuti.

 “S3O è un sistema che va bene per un meleto di pianura e se un agricoltore volesse adottarlo, potrebbe farlo anche oggi. Il punto però è che noi stiamo disegnando delle soluzioni ad hoc, soluzioni tailor made per la singola specie. Abbiamo tutte le conoscenze scientifiche per dire che ogni specie richiede una soluzione diversa, per motivi fisiologici. In futuro potrebbero arrivare soluzioni per il pesco e per il susino, ma siamo ancora in fase sperimentale”.

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