I fondi investiti nella riduzione delle emissioni agroalimentari dovrebbero aumentare di 18 volte e raggiungere circa 240 miliardi di euro all’anno se si vuole dimezzare le emissioni e portare il mondo sulla strada delle emissioni nette a somma zero entro il 2050, secondo uno studio della Banca Mondiale pubblicato martedì (7 maggio).
Il rapporto descrive il settore agroalimentare, che rappresenta quasi un terzo delle emissioni globali di gas serra, come una „risorsa non sfruttata” per l’azione contro il cambiamento climatico.
L’UE mira a ridurre le emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Secondo lo studio, le maggiori opportunità di riduzione delle emissioni del settore agroalimentare nei Paesi ad alto reddito risiedono nel passaggio a fonti energetiche a basse emissioni, nella riduzione della domanda di alimenti ad alta intensità di emissioni nocive attraverso la rimodulazione del carico fiscale sui prezzi e nella fornitura di assistenza finanziaria ad altri Paesi per sostenere la loro transizione.
Il rapporto avverte che „l’industria alimentare è quella che ha compiuto i progressi più lenti nell’efficienza energetica tra i settori economici”, invitando i Paesi a fare di più per promuovere le energie rinnovabili nel sistema agroalimentare.
Analogamente, un rapporto pubblicato a gennaio dal Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici (ESABCC) ha affermato che le politiche dell’UE non sono in grado di raggiungere gli obiettivi climatici fissati dall’Unione e ha chiesto un sistema di tariffazione del carbonio per dare un prezzo alle emissioni.
Il mercato del carbonio dell’UE, il sistema di scambio delle emissioni (ETS), non comprende il settore agricolo.
Diete sostenibili
Lo studio della Banca Mondiale ha evidenziato che, mentre i Paesi a medio reddito sono i maggiori responsabili delle emissioni globali del sistema agroalimentare, le emissioni pro capite più elevate si registrano nei Paesi ad alto reddito.
Secondo gli autori, ciò è dovuto al „forte consumo di carne e latticini” e all’aumento delle emissioni dovute al trasporto, alla lavorazione e all’imballaggio degli alimenti.
Per invertire questa tendenza, il rapporto chiede di spostare le sovvenzioni per le carni rosse e i prodotti lattiero-caseari „verso alimenti a basse emissioni come pollame o frutta e verdura”.
Potenziali compromessi
Gli autori hanno anche messo in guardia dai potenziali rischi a breve termine – come le interruzioni del mercato del lavoro e dell’approvvigionamento alimentare – se la transizione verso un settore agroalimentare a basse emissioni non sarà fatta „con attenzione”.
Tuttavia, sottolinea lo studio, i costi dell’inazione superano i potenziali ostacoli economici e sociali.