martedì, 16 Aprile, 2024
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Vertical farming, il prezzo dell’energia mette in difficoltà il settore

Il settore del vertical farming è altamente energivoro e per questo i recenti rincari del gas hanno avuto un impatto importante. Tuttavia le tecniche di coltivazioni in ambiente controllato potrebbero contribuire a risolvere la sfida di sfamare una umanità in crescita in maniera sostenibile.

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Il vertical farming è quella tipologia di coltivazione che prevede la crescita di piante in ambienti chiusi, in cui tutti gli input produttivi vengono forniti artificialmente e le condizioni di crescita sono monitorate e modulate per massimizzare la produttività.

Le piante, solitamente a ciclo corto e taglia bassa (come insalate ed erbe aromatiche), crescono su più livelli, mentre la luce solare è rimpiazzata o integrata da lampade a led. L’atmosfera è attentamente controllata e gli elementi nutritivi arrivano alle radici attraverso tre tecniche: idroponicaacquaponica ed aeroponica.

I plus di questo approccio sono presto detti: possibilità di produrre grandi quantità di cibo in spazi piccoli, con un ridottissimo uso di acqua e potenzialmente senza l’impiego di agrofarmaci. I contro sono altrettanto importanti, visto che le vertical farm, per operare, hanno bisogno di ingenti quantità di energia elettrica. E la situazione attuale di rincaro dei costi certo non facilita la vita a queste strutture.

Secondo i dati dell’Osservatorio Smart AgriFood (School of Management del Politecnico di Milano e Laboratorio Rise – Research & Innovation for Smart Enterprises dell’Università degli Studi di Brescia) su 751 startup censite a livello globale nel settore agroalimentare, il 5% sta sviluppando progetti di vertical farming. Mentre le risorse raccolte ammontano solo al 2% di quelle cubate dal settore (l’ecommerce da solo coinvolge il 42% delle startup per il 79% delle risorse).

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L’idroponica è la tecnica di coltivazione più utilizzata

L’idroponica è la tecnica più utilizzata con il 46% delle aziende che la impiega su 26 progetti analizzati. Segue poi il soil based (che non utilizza substrati inerti) con il 36% e l’aeroponica con l’11%.

In coda l’acquaponica (4%), che comporta livelli crescenti di difficoltà associando alla coltivazione l’allevamento di pesci, ed infine il film farming (3%), che impiega una membrana in hydrogel in cui i nutrienti arrivano alla pianta per osmosi.

Spesso a determinare la tipologia di tecnica utilizzata è la coltura oggetto di coltivazione. Il 93% dei progetti riguarda infatti la coltivazione di verdure a foglia, principalmente con il metodo dell’idroponica (43%) e del soil based (35%).

Il 18% si dedica invece al pomodoro, dove il 60% dei progetti utilizza l’idroponica, ma c’è anche un 20% di aeroponica e di soil based. Se si guarda invece alla frutta il 67% cresce in aeroponica, mentre il 33% in idroponica.

Gli sbocchi del vertical farming verso il mercato

Ricalcando i modelli del pieno campo anche il vertical farming ha come primo interlocutore commerciale le insegne della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo). Se il 75% vende alla Gdo, il 21% invece produce a fine di ricerca e offre donazioni ad enti no profit. Il 14% invece guarda all’Horeca e il 12% ai privati.

È interessante notare come chi vende all’Horeca spesso lo fa inserendo nei punti vendita dei propri moduli di produzione. Un modo per mostrare al cliente come crescono le piante e offrire verdure a chilometro zero.

Si fa presto a dire vertical farming

I progetti censiti dall’Osservatorio Smart AgriFood danno bene l’idea della grande variabilità di progetti sviluppati in giro per il mondo. Un esempio è Red Sea Farms, che in Arabia Saudita prova a risolvere l’annoso problema della carenza di suoli coltivabili avendo creato delle serre tecnologiche che producono pomodori in idroponica grazie all’impiego di acqua salina. Un progetto che può contare su ingenti finanziamenti e un costo dell’energia bassissimo.

Saia Agrobotics, startup di Wageningen, sede della celebre Università, ha la peculiarità di aver abbinato al vertical farming l’impiego di robot per la gestione automatizzata della coltura.

A Charleston, negli Usa, sorgono invece gli impianti di AmplifiedAg, una startup che ha sposato il concetto di modularità. Le sue vertical farm in idroponica sono racchiuse all’interno di container che possono essere dislocati ovunque nel Globo.

Altri due esempi sono Seasony e Ageye Technologies. La prima è una startup danese che ha creato delle strutture integrate da robot che si occupano di monitorare le piante durante la crescita, raccogliendo dati utili poi a sviluppare modelli di coltivazione evoluti. Anche la seconda, con sede negli Usa, ha abbracciato il concetto di automazione a 360 gradi e gli impianti possono essere gestiti da remoto.

L’applicazione più diffusa nell’AgTech riguarda la mappatura e il monitoraggio dei terreni e delle coltivazioni (21%), seguita dalla gestione aziendale (20%), dalla tracciabilità alimentare (12%) e dal monitoraggio delle serre a distanza (10%).

Il monitoraggio riguarda anche il settore zootecnico (7%), nonché l’irrigazione e i trattamenti di precisione (6%). New entry è la riqualificazione degli scarti o delle eccedenze alimentari, che cuba circa il 4% delle applicazioni sviluppate, così come il trasferimento di dati al consumatore, che invece raggiunge il 2%.

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