giovedì, 28 Marzo, 2024
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Ciliegie: investimento remunerativo, lo dicono i dati

Presentati all’International Cherry Symposium 2022 i risultati di una ricerca che ha analizzato tre tipi di impianto, con diverse tipologie di coperture e forme d’allevamento, con lo scopo di confrontarne la sostenibilità economica.

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Gli esperti mondiali di cerasicoltura si sono riuniti all’edizione appena chiusa di Macfrut 2022. Si è infatti tenuto l’International Cherry Symposium, con oltre 350 persone che hanno seguito in presenza l’evento, segno che la ciliegia è di grande interesse.

Data la sempre maggior concorrenza mondiale e le minacce che arrivano dal cambiamento climatico, la scelta di puntare sul ciliegio dolce è una opzione che sempre più frutticoltori prendono in considerazione.

Fra i tantissimi temi toccati durante il Symposium che si è tenuto a Rimini, gli economisti hanno tracciato da un lato il quadro mondiale del settore e dall’altro hanno offerto strumenti, per chi abbia intenzione nei prossimi anni di investire in un nuovo impianto, per valutare su che tipo di ceraseto puntare.

Che congiuntura sta attraversando la ciliegia e che previsioni si possono fare per i prossimi anni? A questa domanda ha cercato di dare risposta Desmond O’Rourke, analista di mercato americano. In venti anni, dal 2000 al 2020, le superfici mondiali coltivate sono cresciute costantemente e oggi si attestano su 445mila ettari.

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Il settore è in grande fermento, con i tre leader di mercato Turchia, Stati Uniti e Cile che guidano la crescita, anche in termini di tonnellate prodotte. È cresciuta anche la domanda, mentre le rese ad ettaro sono rimaste pressoché stabili e oggi, a livello mondiale, sono di 5,86 tonnellate a ettaro.

In aumento, considerando sempre dal 2000 al 2020 come periodo, anche le esportazioni e i prezzi, che al netto dell’inflazione sono cresciuti e nel 2020 erano, in media, di 3,5 euro al chilogrammo.

Interessante l’analisi fatta dal professore O’Rourke sul confronto fra i prezzi di quattro prodotti selezionati nei tre principali Paesi produttori di ciliegie: Usa, Cile e Turchia.

Se si confrontano nel biennio 2018-2020 i prezzi medi di mele, ciliegie, pesche e pere, si vede come il prezzo a tonnellata delle ciliegie sia decisamente più alto rispetto a quello delle altre referenze.

Negli Usa, per esempio, se le ciliegie si attestano sui 2.421 euro a tonnellata, le mele sono a 808, le pesche a 1.462 e le pere a 595 euro a tonnellata. L’Italia, rispetto ai competitor europei, deve vedersela con Spagna e Grecia che, negli ultimi dieci anni, sono cresciute moltissimo in termini di produzione e ora tallonano da vicino il Belpaese.

In crescita anche Paesi come Bulgaria e Romania. Secondo gli ultimi dati Faostat l’Italia nel 2020 ha prodotto 104mila tonnellate.

Le previsioni per il futuro del settore ciliegia: secondo l’analisi del professore O’Rourke, a livello mondiale l’area di produzione dovrebbe estendersi a 657.950 ettari nel 2030, con una crescita del 15,7% sul biennio 2018-2020, dovrebbero crescere del 21% circa anche le rese a ettaro e la produzione mondiale dovrebbe attestarsi su 2 milioni e 923mila tonnellate. Guardando ancora più lontano, al 2040, l’area di coltivazione mondiale dovrebbe crescere ancora fino a superare i 721mila ettari, con oltre 5 milioni e 117mila tonnellate prodotte.

Desmond O’Rourke ha sottolineato, date le prospettive, quali siano le sfide che il settore ciliegia, a livello mondiale dovrà affrontare. Se l’offerta cresce sarebbe necessario infatti che crescesse di pari passo anche la domanda.

Saranno necessari grandi sforzi di marketing coordinati, sui diversi mercati mondiali, parallelamente a sforzi, altrettanto coordinati, sul fronte della ricerca.

Da un lato va considerato infatti che i mercati che più richiedono ciliegie sono anche quelli a basso tasso di crescita della popolazione e che le condizioni geopolitiche che favoriscono gli scambi commerciali sono sempre più indebolite dalle tensioni internazionali.

Passando a uno sguardo più locale, Rino Ghelfi, professore di Economia ed Estimo Rurale all’Università di Bologna, ha presentato i risultati di una ricerca, condotta assieme al collega Alessandro Palmieri, che ha analizzato tre impianti di tipologia diversa con lo scopo di confrontarne la sostenibilità economica.

La scelta del tipo di impianto è sempre molto delicata, anche perché le cifre investite per 1 ettaro di ceraseto sono molto alte.

“Le sfide sono molte – ha detto proprio Rino Ghelfi – andamenti climatici severi, specie aliene da gestire, temperature e regimi di precipitazioni che sono cambiati. C’è da sottolineare che, in termini economici, gli eventi estremi si riflettono in appesantimenti di costi legati alla delicata fase di raccolta. Fra il 45 e il 60% dei costi di produzione, a seconda del tipo di impianto, sono costi di raccolta. Il danneggiamento dei frutti ha un peso importante. Un danneggiamento di solo il 10% porta a un aumento dei costi del 6-7%, l’incidenza poi aumenta fino a un 35-40% per arrivare a non essere più sostenibile se il livello di danno è superiore al 30%. Non conviene più raccogliere. Il settore ha bisogno di innovazione, ma gli investimenti vanno bilanciati con una crescita economica perché siano sostenibili”.

La ricerca dell’Università di Bologna ha preso in considerazione tre tipi di impianto, a media, alta e altissima densità con diverse tipologie di coperture (antipioggia tradizionale, multitasking e multitasking semiautomatico) e diverse forme d’allevamento.

La cultivar presa in considerazione è stata sempre Regina, con 823 piante a ettaro, 1.650 piante a ettaro in alta densità e 6mila piante a ettaro per l’altissima.

L’approccio d’analisi è stato quello del ciclo di vita dell’impianto, considerando l’investimento iniziale, i costi operativi, i ricavi operativi per ogni anno di vita e considerando anche il possibile valore di recupero e il costo di smaltimento degli impianti.

La durata di vita delle tre tipologie è stata considerata in venti, 15 e 12 anni, mano a mano che aumenta la densità. Per quanto riguarda il costo iniziale dell’impianto, a seconda della densità e del tipo di coperture/reti scelte, compresa la protezione multitasking che previene anche i danni da insetti, si va da un investimento iniziale di poco meno di 100mila euro, a cifre che possono raggiungere anche i 130mila, 140mila euro a ettaro.

Di contro, guardando ai dati presentati, il rendimento alla raccolta cresce con l’aumentare della densità (12 chilogrammi/ora fino a 17 chilogrammi/ora) e le ore necessarie per la gestione delle coperture calano.

“Tutti e tre gli impianti – ha detto il professore Ghelfi – mostrano una convenienza economica, ma i risultati migliori sembrano esserci con l’impianto ad alta densità (1.200, 1.300 piante a ettaro fino a 2mila). Il tempo di ritorno del capitale premia invece l’altissima densità. Ci sono costi d’investimento molto alti, ma c’è un rientro anticipato del capitale investito”.

Da considerare anche il fatto che impianti coperti permettono la riduzione di trattamenti che incidono sui costi annuali e sull’impatto ambientale della coltivazione.

Con impianti ad alta ed altissima densità, coperti con reti multitasking, si arriva anche a ridurre di cinque, otto volte il numero di trattamenti annui. Prevedere coperture, d’altra parte, fa crescere i costi di produzione fra gli 0,30 e gli 0,40 euro al chilogrammo di ciliegie.

I dati mostrati durante l’International Cherry Symposium 2022 hanno poi evidenziato come il prezzo pagato alla produzione in media, negli ultimi cinque anni, abbia sempre, in tutti e tre i tipi d’impianto, superato il prezzo al chilogrammo necessario a rendere la coltivazione di ciliegie conveniente da un punto di vista economico. In altre parole: coltivare ciliegie, con la professionalità dovuta, rende.

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